Chemioterapia, la vergognosa attesa dei pazienti oncologici crotonesi
CROTONE – (di Francesca Caiazzo) Ci hanno detto che l’incidenza delle patologie tumorali nel crotonese è nella media: i dati raccolti dal Registro Tumori Cosenza-Crotone, da poco accreditato dall’Airtum, sono in linea con quelli rilevati nelle altre regioni del Sud Italia. Non ci hanno spiegato, però, perché in uno studio del maggio dello scorso anno, l’Istituto Sanitario Nazionale metteva nero su bianco che “si osservano nel Comune di Crotone significativi eccessi di mortalità e ospedalizzazione per numerose patologie tumorali e non tumorali, per alcune delle quali è accertato, o sospetto, un ruolo eziologico dei contaminati presenti nel sito”.
Hanno provato a farci credere che sarebbe bastato nascondere i veleni delle ex aree industriali sotto due “ridenti” colline – sulle quali avremmo persino potuto portare a giocare i nostri bambini – per cancellare l’annoso e – soprattutto costoso- problema della bonifica. E la politica sembrava quasi volerci convincere che la soluzione fosse niente male. Per fortuna, c’è un giudice anche a Crotone. Fosse per la politica, dovremmo continuare a inchinarci anche quando i progetti presentati stridono con la realtà e offendono l’intelligenza. Riunioni, conferenze di servizi e incontri con la stampa a iosa per giungere all’unica, sensata conclusione: per liberarci da quei veleni serve una bonifica vera, smaltendo quanto di tossico esiste lontano dalle nostre case.
Il fatto è che mentre discutiamo – legittimamente – su come smaltire le scorie e raccogliamo dati, la gente si ammala. E muore. Ci indigniamo e ci commuoviamo di fronte alla morte di un giovane ventenne ma ignoriamo nei fatti tutte le ferite che la malattia lascia nell’anima di chi resta durante il percorso verso la desiderata guarigione. E l’esperienza del dolore e della sofferenza dei pazienti oncologici di questa provincia pare non interessare nessuno.
Ammalati considerati come numeri utili per statistiche e ricerche, non come persone il cui corpo e la cui anima sono lacerati dalla malattia. Perché il cancro – che colpisca allo stomaco, alla mammella, al colon, alla prostata o al cervello – devasta. Stravolgendo la vita di chi sulla sua strada incontra la bestia e quella di chi gli vive accanto. E – anche se può sembrare una banale frase fatta – solo chi entra in questo tunnel sa di cosa stiamo parlando. Perché, la maggior parte delle persone, ad esempio, non sa neanche come si svolge un ciclo di chemioterapia. Così anche il paziente, che per la prima volta si trova a iniziare questo doloroso percorso, si muove a tentoni in un terreno mai esplorato, sconosciuto fino ad allora. A meno che, in famiglia, il tumore non abbia già bussato.
Per sottoporsi alla chemioterapia, i malati di cancro del crotonese che decidono di farsi curare al San Giovanni di Dio, devono accedere al Day Hospital oncologico che si trova al quinto piano. Una volta stabilito il giorno di inizio del ciclo chemioterapico, bisogna presentarsi di buon mattino per effettuare il prelievo del sangue. Alle sette ci sono già ammalati ordinatamente in fila davanti alla sala prelievi. L’operazione è veloce: si entra e si esce in pochi minuti. Il paziente, di solito accompagnato da un familiare, scende al piano terra e va a fare colazione. Intorno alle 9.30-10.00 iniziano ad arrivare i primi risultati. I più fortunati saranno chiamati da lì a poco. Per tutti gli altri, da quel momento in poi inizia il vero calvario. Un’attesa estenuante di ore prima di accedere alla visita di controllo indispensabile per poter iniziare la terapia. Sì, perché per assumere i farmaci chemioterapici è necessario che il corpo si in buone condizioni, altrimenti gli effetti collaterali dei medicinali – già di per sé avversi – potrebbero causare più danni che benefici.
In un mondo ideale, o semplicemente in un ospedale di una società civile, al paziente oncologico dovrebbe essere garantito il diritto a essere curato in maniera dignitosa. Ma siamo a Crotone, nella Calabria della Sanità commissariata. Dove invece di tagliare i veri sprechi si tagliano i servizi.
Così Anna, Maria, Antonio, Michele, Giovanni (i nomi sono di fantasia, ndr) e tutti gli altri malati di cancro riempiono la sala d’attesa, quel triste stanzone dalle poltroncine in similpelle marrone intorno a due tavoli bianchi. Il televisore acceso fa da sottofondo alle loro chiacchiere, scambi di battute su sintomi ed effetti collaterali della terapia, per lo più. La statua della Madonna in un angolo raccoglie le tante preghiere silenziose. Ogni tanto qualcuno si lamenta guardando l’orologio che segna quasi mezzogiorno: “Sono qui dalle sette, perché ancora non mi chiamano?”. Infermieri e operatori socio-sanitari provano a rassicurare con la dolcezza di un sorriso: “Tra poco sarà anche il tuo turno, non preoccuparti”. Consapevoli che, forse, stanno mentendo: neanche loro sanno quando toccherà al prossimo paziente. Si muovono come formiche laboriose avanti e indietro, da una stanza all’altra senza mai lamentarsi o cedere alla stanchezza, e passando dalla sala d’attesa trovano sempre il tempo di un saluto, un sorriso, una battuta. Una carezza.
Tra una visita e l’altra passa almeno mezzora. E comunque il tempo necessario affinché l’oncologo di turno si accerti delle buone condizioni fisiche del paziente: viene misurata la pressione, eseguito un elettrocardiogramma, vengono sentiti i polmoni. Il paziente riferisce ogni minimo cambiamento avvenuto al suo corpo nei giorni seguenti all’ultimo ciclo chemioterapico. E poi, ovviamente, si scambiano due chiacchiere con il medico. Anche l’anima ha bisogno di cure.
Non mancano sorrisi e parole di incoraggiamento sia per i pazienti che per i loro familiari. I ritmi sono frenetici, certo, ma non impediscono di salvaguardare l’aspetto umano della terapia.
Quello che manca è il personale. Sette medici – più il primario, l’instancabile dottoressa Tullia Prantera – si trovano a gestire il reparto di Oncologia con i suoi dieci posti letto sempre occupati, il Day Hospital che registra una media di 25-30 pazienti al giorno – nel 2016 oltre 700 – e le visite ambulatoriali. Per garantire un servizio adeguato, sarebbe necessaria la presenza di tre-quattro medici dedicati solo ai pazienti chemioterapici. Invece, capita spesso che di medici di turno ce ne siano soltanto due. E quei giorni è un vero inferno. Per i medici stessi – che per competenza, professionalità e doti umane nulla hanno da invidiare ai loro colleghi di altri centri italiani – ma anche e soprattutto per i pazienti. Molti dei quali giungono già stanchi, debilitati dalla malattia. Poi entreranno esausti nella saletta in cui resteranno qualche ora per sottoporsi, finalmente, al ciclo chemioterapico. Infine, usciranno dall’ospedale devastati. Per poi magari affrontare il viaggio di rientro verso casa, visto che al DH affluiscono pazienti provenienti da tutta la provincia.
E non importa che si spostino su sedia a rotelle o con un respiratore a portata di mano. Devono, purtroppo, aspettare il proprio turno. Un’attesa che sembra infinita. Durante la quale i pensieri affollano la mente e gli occhi cercano conforto.
Una situazione al collasso e nota da anni. A tutti. Nel marzo 2014, la giornalista de Il Crotonese, Angela De Lorenzo, riaccese i riflettori sul dramma dei pazienti oncologici crotonesi sottoposti a chemioterapia. Dopo l’inchiesta giornalistica, il deputato PD, Nicodemo Oliverio, presentò una interrogazione scritta al ministro della Salute. Sul sito della Camera, l’iter dell’atto risulta ancora in corso. Pochi mesi dopo, anche una malata di cancro scrisse una lettera pubblica per chiedere il potenziamento della struttura. ma nessuno ha ascoltato quel grido d’aiuto.
Ecco perché sarebbe auspicabile, che ora almeno i sindaci dei comuni del crotonese facessero proprie le esigenze dei pazienti oncologici, che intervenissero con urgenza per quanto di loro competenza nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale, della Regione Calabria, dell’Ufficio del Commissario alla Sanità e del Ministero della Salute affinché il personale del reparto di Oncologia dell’ospedale di Crotone sia messo nelle condizioni di poter svolgere con serenità il proprio lavoro garantendo le cure necessarie in tempi ragionevoli e adeguati.
Medici, infermieri, OSS e pazienti: un esercito silenzioso di eroi quotidiani che lottano ogni giorno per la vita. Che resistono nonostante la burocrazia e un sistema politico-istituzionale che non si accorge di tanta sofferenza.