Calabria, in coma dopo parto cesareo: il Ministero chiede relazione a Regione

Catia Viscomi

CROTONE – Perché Catia Viscomi si trova in coma dopo aver subito un taglio cesareo? Cosa è successo in sala operatoria quella notte tra il 6 e il 7 maggio 2014 all’Ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro? Di chi sono realmente le responsabilità delle lesioni causate alla donna? Sono ormai 18 mesi, che la famiglia Viscomi-Lagonia (assistita dall’avvocato Giuseppe Incardona) con caparbietà e determinazione, senza mai arrendersi, si sta ponendo queste domande. Per ottenere giustizia e conoscere la verità su quanto accaduto a questa madre, che non ha mai potuto guardare negli occhi il suo bambino né godere delle gioie della maternità.

Domande alle quali anche da Roma vogliono ora risposte. La “Direzione Generale per la programmazione sanitaria, dei Livelli di assistenza e dei principi etici di sistema” del Ministero della Salute ha, infatti, scritto una lettera indirizzata alla Regione Calabria chiedendo una relazione “con ogni utile informazione disponibile, diretta a chiarire gli accadimenti che il 7 maggio 2014 portarono Caterina Viscomi, nelle fasi immediatamente successive al parto cesareo, a uno stato di coma persistente”. La richiesta del Ministero è del 20 gennaio scorso e arriva a pochi giorni dalla decisione del gip del tribunale di Catanzaro, il quale, accogliendo il ricorso presentato dal marito e dai familiari di Catia, ha ordinato ai magistrati di proseguire le indagini, per le quali era stata avanzata richiesta di archiviazione. Nella missiva ministeriale si legge, inoltre, che “da quanto rappresentato dal signor Lagonia (marito di Catia, ndr), nonché dalla disamina della documentazione da lui trasmessa allo scrivente Ufficio, sembra emergere, al di là degli esiti processuali in sede penale, un percorso assistenziale quantomeno non adeguato alle condizioni della paziente nella fase di gestione del parto e dell’emergenza verificatasi nell’immediatezza del taglio cesareo, resosi necessario per il mancato impegno del feto nel canale del parto”.

Mentre la magistratura proseguirà a indagare, dunque, la Regione dovrà rispondere con una relazione dettagliata alla lettera del Ministero. Già dai documenti che da Catanzaro invieranno a Roma, potrebbe emergere qualche dettaglio finora ignorato o sottovalutato. Innanzitutto, si dovrà chiarire come mai l’anestesista, che tutti i medici facente parte dell’equipe che intervenne su Catia hanno indicato come unica responsabile di quanto avvenuto, potesse ancora svolgere il suo lavoro nonostante fossa stata ritenuta “incompatibile con l’attività di sala operatoria”. Ai magistrati spetta, poi, il compito di capire come mai non è stata fatta piena luce sul suo decesso. E’ stato lo stesso gip a chiedere ulteriori approfondimenti sul caso. La donna, infatti, venne trovata morta in casa e sul suo corpo non è mai stata effettuata l’autopsia. Suicidio? Malore? Al momento nessuno sembra poter dare una risposta a una morte che ha aggiunto altro dolore a una situazione già drammatica.

Inoltre, sebbene probabilmente inadeguata, davvero l’anestesista è la sola colpevole o ci sono altre eventuali responsabilità che possono essere ricercate tra i membri dell’equipe medica che effettuarono l’intervento?

Nel frattempo, Catia continua ad essere circondata dall’amore dei suoi cari. Consolati dalla certezza, che almeno nella Casa di cura S.Anna di Crotone, centro di riferimento regionale per le gravi cerebrolesioni ad alta specialità riabilitativa in cui si trova, sta ottenendo la migliore assistenza possibile. Per questo si dicono profondamente grati a tutti gli operatori che si stanno prendendo cura di lei. Quegli operatori ai quali la stessa Catia, stimata oncologa, in passato si era rivolta per far assistere alcuni dei suoi pazienti.

Anche la comunità di Soverato, cittadina dove Catia ha vissuto, non ha mai fatto mancare la vicinanza a lei e ai familiari. Diverse le manifestazioni organizzate per chiedere che sul caso sia fatta chiarezza. La vicenda sta vedendo, inoltre, l’interessamento del Movimento Difesa del Cittadino (sezioni di Crotone e Varese), che ha già annunciato la volontà di chiedere la costituzione di parte civile nell’eventuale processo.

Alla famiglia Viscomi-Lagonia, non resta che aspettare, sperando che sia fatta giustizia e che quella verità tanto invocata possa presto emergere.

Francesca Caiazzo