Torino, detenuti mettono in scena la vita del carcere

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TORINO – Un mimo che cammina in uno spazio angusto e per di più in bilico, come su un filo sospeso troppo in alto. Il difficile dialogo tra due uomini, che non sempre riescono a capirsi. E una cordata di alpinisti, che proprio al termine dell’escursione vedono precipitare l’ultimo nel vuoto. È così che i detenuti del “Lorusso e Cotugno” di Torino si raffigurano, nell’ordine, la vita in regime di carcere duro (il cosiddetto 41 bis), i colloqui con gli educatori incaricati di valutarne i permessi all’esterno e il tema della recidiva dopo la detenzione. L’occasione, ancora una volta, è uno spettacolo diretto dal regista Claudio Montagna, che da vent’anni conduce un laboratorio teatrale all’interno del penitenziario. Se l’anno scorso il tema era la diversa percezione della legge da parte di giuristi e detenuti,  “Le altre facce della medaglia” indaga il modo in cui, nel quotidiano del carcere, si traducano i vari articoli della riforma che dal 1975 regola il sistema penitenziario italiano. Una legge che, almeno nelle intenzioni, “avrebbe dovuto garantire alla pena una funzione di ricucitura dello strappo con la società – spiega il regista – ma che, in quel senso, resta sostanzialmente inapplicata: basti pensare che, soltanto nel carcere di Torino, peraltro considerato un istituto modello, lavorano appena tredici educatori a fronte di oltre mille carcerati”.

Montagna, il cui lavoro con i reclusi è iniziato negli anni ’70, non ha mai fatto mistero delle sue critiche al sistema-carcere. I suoi spettacoli – a metà strada tra psicodramma, poesia haiku e teatro civile – sono spesso informati dall’opposizione simbolica tra due diverse concezioni di giustizia: “esiste una giustizia ‘retributiva’ – spiegava il regista qualche tempo fa – che calcola gli anni di pena da scontare sulla base di un reato. E ce n’è poi una riparativa, che si occupa invece di ricucire, anche sul piano emotivo, lo strappo tra autori e vittime di reati. Come regista, è alla seconda che sono interessato; e credo che anche la giurisprudenza dovrebbe iniziare ad esserlo”.

Da martedì scorso, e per il resto della settimana, un gruppo di 15 carcerati si è messo a disposizione del pubblico torinese, che quest’anno è stato attivamente coinvolto nella rappresentazione: sono loro, ogni sera, a porre domande sulla vita all’interno del penitenziario. “”Nel farlo – continua il regista – possono basarsi sulla pura curiosità, o eventualmente seguire un canovaccio che distribuiremo all’esterno, e che tocca tutta una serie di nodi cruciali della vita all’interno di un penitenziario: l’architettura carceraria, ad esempio; o la valutazione delle domande circa permessi e misure alternative di detenzione”.  Ai detenuti, ogni sera, tocca rispondere con una serie di improvvisazioni teatrali; che in ultima battuta vengono commentate da una sorta di “gruppo di controllo”, composto da quanti all’interno del penitenziario lavorano: ufficiali di polizia, educatori, operatori sanitari e perfino il direttore.

Uno spettacolo che vuole aprire “una finestra sul nostro sistema penitenziario”;  resa preziosa, secondo il regista, “dalla testimonianza incrociata di uomini e donne che sono ‘esperti per esperienza’”. “Detenuti e operatori penitenziari – continua Montagna – vivono il carcere nella sua quotidianità, fuori dalla visione stereotipata, e a volte perfino romantica, che se ne può avere dall’esterno”.  E così, martedì sera, a chi domandava loro cosa pensassero della multa comminata dall’Ue al nostro sistema penitenziario per le condizioni di sovraffollamento delle carceri, i detenuti hanno risposto improvvisando la scenetta di una scuola in cui il più indisciplinato degli studenti riesce spesso a farla franca. E quando invece è stato chiesto se le misure di welfare destinate alle famiglie dei carcerati più poveri fossero effettivamente applicate, la riposta è stata la scena di una truffa all’interno di un negozio d’animali: entrato per comprare un cardellino, il detenuto ne viene fuori con un piccione. “Sapete cos’è questo” domanda quindi l’uomo, rivolgendosi al pubblico. “Non è un uccello. È una bufala”.