Pnrr, i soldi dell’UE saranno davvero usati per ridurre il divario Nord-Sud?

Di Massimo Mastruzzo, Direttivo nazionale M24A-ET Movimento per l’Equità Territoriale

Nel regno della percezione quando tutt’attorno sembra che si percepisca tutt’altro si ha un impercettibile senso di disagio. I dati hanno un senso perché ci offrono una realistica visione del paese e si dovrebbe riuscire a leggerli con la necessaria razionalità che aiuti a indirizzare le scelte. Da farsi a ragion veduta.

Invece li si usa, spesso, per assecondare i propri interessi politici, condizionare gli umori e allontanare le soluzioni. I dati Eurostat  danno le Regioni del sud Italia ultime tra le 270 dell’UE. Dati Svimez indicano un rischio concreto di desertificazione umana e industriale in molte aree del sud Italia.

In UE il 71,4% di chi ha terminato l’università trova un’occupazione entro tre anni, in Italia ci riesce appena il 44,2%, nel Mezzogiorno il 26,7% e in Calabria la percentuale crolla addirittura al 20,3%, dati peggiori si trovano solo per la Guyana francese 44,7% (è una regione e un dipartimento d’oltremare della Francia che si trova nell’America meridionale)  e per la regione bulgara di Severozapaden 46,5%.

Calabria, Sicilia, Campania e Puglia, sono in Europa le regioni in cui lavora meno di una persona su due fra i 20 e i 64 anni. Il digitale è ormai indispensabile per la maggior parte delle occupazioni ma nel Sud Italia e nelle isole solo il 57,5%, tra i 16 e i 74 anni, usa regolarmente internet, quasi 20 punti percentuali meno della media Ue (79%). E appena il 27% lo fa da dispositivi mobili come smartphone o tablet (media Ue 59%).

Una donna residente al Sud ha meno della metà delle possibilità di trovare un lavoro rispetto a una nata o emigrata a Nord, dove il tasso di occupazione femminile è del 44,9 per cento a fronte del 22,3 per cento del Sud. In questo paese si sono finanziati progetti per linee di alta velocità che saranno il più grande investimento pubblico della storia di questa nazione pur interessando solo parte di essa, ma con il contributo di tutta.

L’Europa si accorge che la forbice della disomogeneità territoriale non è più accettabile e richiama l’Italia ad investire in funzione della maggior coesione sociale:

nel 2019 Bruxelles si era accorta che gli investimenti pubblici con risorse nazionali effettuati nelle regioni del Mezzogiorno erano stati di circa il 20% inferiori rispetto agli impegni che l’Italia aveva assunto con l’Unione europea. Una sostanziale violazione dei diritti fondamentali, che dovrebbero essere garantiti dalla Costituzione italiana, talmente palese che indusse il direttore generale per la Politica regionale della Commissione Ue, Marc Lemaitre, ad inviare una lettera al governo per sollevare il problema, con dati precisi: “Indicando le cifre più che preoccupanti sugli investimenti al Sud, che sono in calo e non rispettano i livelli previsti per non violare la regola Ue dell’addizionalità”».

Nella lettera, ha spiegato poi Lemaitre, “ho richiamato l’attenzione delle autorità italiane sul fatto che tra il 2014 e il 2016 l’Italia si era impegnata a realizzare investimenti nelle regioni del Sud per un importo pari allo 0,47% del Pil di quelle regioni ma non è andata oltre lo 0,4%. Si tratta di quasi il 20% in meno”».

Uno Stato, l’Italia, dove la disomogeneità territoriale è talmente ampia dall’aver condizionato inequivocabilmente i criteri di ripartizione dei Recovery Fund a proprio favore, ricevendo per questa condizione la quota maggiore. Il governo italiano agirà in rispetto alle indicazioni di Bruxelles, che prospettive di coesione sociale pensa di avere?

Dalle prime mosse sembra che l’Italia si avvii ad agire in proprio in controtendenza, tanto che Bruxelles appare preoccupata dello squilibrio del Pnrr italiano: i soldi dell’Unione Europea, saranno davvero usati per ridurre il divario Nord-Sud, come chiede? Oppure, come appare evidente dalla ripartizione nazionale dei fondi europei, si corre il rischio di mantenere lo status quo o peggio ancora di aumentarlo?

Questo sarebbe davvero molto pericoloso, perché la mancata applicazione dei livelli essenziali delle prestazioni, l’autonomia differenziata e l’iniqua ripartizione dei fondi del Pnrr, sono tutti elementi che mettono a rischio l’unità stessa del Paese.