“Interroghiamoci sull’integrazione”: l’analisi di Maurizio Ambrosini dopo gli attentati di Bruxelles

attentato aeroporto bruxelles

foto lemonde.fr

ROMA – Sono i “prodotti nichilisti” delle periferie europee, giovani nati e cresciuti nelle banlieu delle grandi città ma mai realmente integrati. Per spiegare il fenomeno del terrorismo che oggi ha colpito al cuore l’Europa, con due diversi attacchi a Bruxelles, “non c’è niente di più sbagliato che pensare a un pericolo esterno, evocare lo scontro di civiltà, pensare di chiudere le frontiere”. A sottolinearlo all’Agenzia Redattore Sociale è Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori  dell’Università di Milano. “Il riflesso condizionato, quasi pavloviano ci porta subito a pensare a una divisione radicale tra noi e loro, tra occidentali e islamisti, tra buoni e cattivi – spiega – . Questa mattina, a ridosso delle prime notizie che arrivavano da Bruxelles, c’era già chi evocava la sospensione di Schengen, il controllo delle frontiere esterne, ma questo non aiuta né a spiegare né a contrastare il fenomeno”.

La prima trappola in cui non dobbiamo cadere, secondo Ambrosini, è il parallelismo tra immigrazione e terrorismo. “Quella a cui stiamo assistendo non è una radicalizzazione dell’islamismo ma a una islamizzazione del radicalismo, come sottolinea anche Olivier Roy – spiega – c’è una quota di gioventù emarginata e conflittuale che trova nel radicalismo islamista il modo di esprimere la sua opposizione frontale nei confronti della nostra società e dei suoi valori. Per fare un parallelo è quello che è successo per la mia generazione con il terrorismo di sinistra”.

I giovani jihadisti sono soprattutto il prodotto della ghettizzazione nelle banlieu: “è mondo fatto di tante facce: ci sono i convertiti, i radicalizzati in carcere, e ci sono anche quelli che non conoscono né la teologia né le preghiere e tutto quel mondo religioso a cui dicono di far riferimento – aggiunge -. La maggior parte dei terroristi sono così: prodotti nichilisti delle periferie che trovano nella radicalizzazione un’alternativa al suicidio e alla disperazione”

Bisogna focalizzarsi, dunque, sui mancati processi di integrazione. “Se guardiamo le biografie di questi ragazzi ci troviamo il disagio sociale, psicologico, familiare ed economico – aggiunge – dobbiamo interrogarci, quindi, sulle condizioni di vita delle periferie, sulle condizioni in cui sono state segregate le minoranze musulmane nei paesi europei. Queste condizioni, infatti, diventano un ambiente in cui possono a volte attecchire i fenomeni di radicalizzazione islamista”.

E’ questo il caso della Francia e del Belgio. “La promessa di uguaglianza ed emancipazione dello stato laico non è stata mantenuta, anzi nel caso francense lo stato ha mostrato un rifiuto ontologico nei confronti dell’Islam ergendosi come idolo polemico – aggiunge Ambrosini -Il Belgio non è stato da meno, per esempio facendo norme contro il velo. Tutto questo va studiato con attenzione. Dobbiamo capire perché i foreign fighters abbiano attecchito qui più che altrove. Il tema è complesso e chiama in causa i problemi economici, umani e culturali. Ma di certo trascinarci in uno scontro di civiltà non serve”. (Agenzia Redattore Sociale)