Giovani, pronti a rinunciare ai diritti pur di lavorare

ROMA – Il 65% dei giovani romani ha un livello alto o medio-alto di remissività lavorativa, vale a dire essere pronti a rinunciare a contratti regolari e diritti dei lavoratori. Questo perché per i nati negli anni ‘90, e ancora di più per i millenials (i nati dopo il 2000), la crisi è lo scenario nel quale sono cresciuti e la precarietà lavorativa non è solo un argomento di discussione, ma un’esperienza concreta. Di conseguenza per loro la parola ”lavoro” assume significati completamente diversi da quelli associati dalle generazioni precedenti. Sono questi i risultati della ricerca “Avere 20 anni, pensare al futuro”, condotta da Acli di Roma e provincia e Cisl di Roma Capitale e Rieti in collaborazione con l’Iref e presentati presso l’aula magna del Rettorato della Sapienza università di Roma durante il convegno “Lavoro per i giovani: priorità delle famiglie, futuro per il Paese”. L’iniziativa è stata realizzata in sinergia con il Centro per la Pastorale familiare del Vicariato di Roma nell’ambito della Settimana della famiglia del Forum delle Associazioni familiari del Lazio. Fa anche parte della II edizione della “Ottobrata solidale”, promossa dal Sistema Acli Roma. All’evento sono intervenuti tra gli altri, Lidia Borzì, presidente Acli Roma, Paolo Terrinoni, segretario generale Cisl Roma Capitale e Rieti, Enrico Costa, ministro per gli Affari regionali, Luigi Bobba, sottosegretario di Stato del ministero del Lavoro, Eugenio Gaudio, rettore della Sapienza università di Roma, monsignor Andrea Manto, responsabile del Centro per la Pastorale familiare Vicariato di Roma, Gianluigi De Palo, presidente Forum Associazioni familiari, Roberto Rossini, presidente nazionale Acli, Maurizio Stirpe, vicepresidente nazionale Confindustria.

L’indagine è stata realizzata nel corso di un anno di lavoro nell’ambito del progetto “Job to go, il lavoro svolta!” realizzato dalle Acli di Roma e dalla Cisl di Roma Capitale e Rieti, su oltre 1000 partecipanti, con un’età compresa fra i 16 e i 29 anni, residenti a Roma e nella provincia. I sentimenti che i giovani intervistati associano al futuro sono la confusione (36%), la precarietà (26,6%) e l’angoscia (26,3%) ma per fortuna anche tanta speranza (per il 61,3%). Proprio per questa profonda insicurezza legata al proprio futuro, molti sono disposti a rinunciare anche a diritti fondamentali pur di avere o mantenere un lavoro: il 28,2% direbbe addio ai giorni di malattia, il 26,6% alle ferie, l’11,1% alla maternità. Il 30,3%, poi, non avrebbe difficoltà ad accettare un impiego che non corrisponda al proprio corso di studi. Le prime problematiche vengono riscontrare già in ambito scolastico: il 46,3% dice di essere abbastanza o molto in disaccordo sul fatto che la scuola fornisca strumenti per inserirsi nel mondo del lavoro. Soltanto il 23,3% dice di essere abbastanza o molto d’accordo. Inoltre, per accelerare il passaggio dalla formazione al lavoro, per il 57,1% sarebbe necessario incentivare le forme di alternanza tra scuola e lavoro e per il 39,6% bisognerebbe coinvolgere le imprese nella definizione di programmi d’istruzione.

Diverso il discorso legato all’università: le motivazioni di chi sceglie di frequentarla sono da ricercare nella possibilità di trovare un impiego coerente con i propri interessi (41,8%), la difficoltà di trovare occupazione senza un titolo universitario (36,9%) e l’opportunità di trovare un lavoro redditizio (34,2%).

Fiducia nei propri mezzi. Nonostante questa sostanziale sfiducia nei confronti del mondo del lavoro, però, i giovani romani hanno fiducia nei propri mezzi e si vedono come soggetti adattabili, in grado di leggere le situazioni, tenere il comportamento più consono, offrendo il contributo richiesto in un dato momento. Il 27,5% ritiene che l’affidabilità sia la propria caratteristica rappresentativa, il 23% dice la capacità di apprendere, mentre il 19,1% la creatività. Per quanto riguarda invece i propri punti di forza, il 45,8% sostiene sia il risolvere problemi, l’organizzare situazioni per il 42,6%, l’essere motivato per il 38,6% e il saper lavorare in modo autonomo per il 34,3%.

Infine, emerge dalla ricerca come, per i giovani romani, sia determinante il ruolo della dimensione economica anche nella scelta di costituire una famiglia propria. Tra gli intervistati il 77,6% si dichiara molto d’accordo nel riconoscere la necessità di un lavoro stabile per mettere su famiglia. In merito a quali siano gli ambiti di intervento suggeriti dai giovani romani per supportare i progetti familiari, si delineano due posizioni: una maggioritaria che vede nel lavoro (65,9%) e nella casa (10,1%) i settori dove concentrare gli interventi; l’altra, abbracciata da circa un intervistato su quattro, che propone di intervenire su servizi per le famiglie (12%) e credito (12%). (Agenzia Redattore Sociale)

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