Giubileo, cristiani e musulmani uniti

ROMA – Abbattere i muri, contrastare l’odio e il terrore, lavorare affinché il dialogo interreligioso porti a un vero cammino di pace. Alla vigilia dell’apertura della porta Santa a San Pietro i rappresentanti delle comunità cristiane e musulmane, si sono riuniti oggi a Roma, presso la sede della Federazione nazionale della stampa, per riflettere sugli attacchi terroristici delle ultime settimane, ma anche sul messaggio lanciato da papa Francesco nel corso del suo viaggio in Africa. “Il nostro futuro insieme non può basarsi sulla sicurezza, di cui tanto si parla oggi, ma ha bisogno di pace. La sicurezza senza pace produce solo bombe a orologeria, che prima o poi esploderanno – ha detto don Antonio Spadaro, direttore di Civiltà cattolica, aprendo i lavori del convegno organizzato da Articolo21 e Associazione giornalisti amici di padre Dall’Oglio – . Dobbiamo costruire un nuovo immaginario collettivo fondato sul dialogo seguendo l’esempio del pontefice. E’ vero che il muro fortifica la costruzione ma quella di Bergoglio è da sempre una visione eccentrica e sbilanciata: la sua è una chiesa delimitata da pareti flessibili e permeabili”. Spadaro ha ricordato che “misericordia” nel pensiero di papa Francesco non è un concetto esclusivamente religioso ma ha un “valore civile e politico che interviene anche in questioni geopolitiche, diventando fattore di pace e dialogo”.

Per Abdellah Redwane, segretario generale del centro culturale islamico di Roma, va fatto un grande lavoro soprattutto in ambito culturale. “Sappiamo tutti di vivere momenti grande difficoltà e angoscia dopo i grandi accadimenti degli ultimi mesi. Le atrocità della guerra e gli efferati atti di terrorismo hanno minato la convivenza pacifica, e sono arrivati a turbare lo scorrere della vita quotidiana di ognuno – afferma -. Il centro islamico è stato sempre in prima linea nel condannare tutti gli atti di terrorismo, ma se per contrastarlo le azioni militari sono indispensabili, a mio giudizio sono anche insufficienti soprattutto per contrastare le fonti che lo alimentano, come l’ideologia e il radicalismo. I bombardamenti potranno forse sconfiggere Isis ma non potranno sradicarne le sue radici profonde. La grande battaglia da fare è sul piano culturale, servono più incontri come quello di oggi per dire no alla violenza e per promuovere una vera cultura della misericordia”.  Anche Yahya Pallavicini, presidente del Coreis ha ricordato che “misericordioso” è un attributo di Dio che i musulmani invocano costantemente, nelle preghiere rituali, al mattino appena svegli e nei saluti tra parenti. “In questi tempi di grande confusone e strumentalizzazione della religione e dell’Islam, in particolare, è opportuno che i credenti tornino insieme a meditare sui segni di Dio – aggiunge – I maestri musulmani chiamano alla pace interiore ed esteriore”.

Il tema della misericordia, che sarà al centro dell’anno giubilare, chiama a riflettere anche sulla crisi migratoria, sottolinea il cardinale Antonio MariaVegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, in un messaggio inviato in occasione del convegno. “Lo choc, la paura e il dolore, che gli eventi delle ultime settimane hanno creato non aiutano a porre le basi per una reale situazione di accoglienza – afferma -. La risposta giusta non è la vendetta ma la  misericordia che con il Giubileo, che si apre domani, siamo chiamati a vivere col cuore. Dobbiamo ricordare – aggiunge – che nessuna religione è immune dal rischio del fondamentalismo, bisogna guardare ai valori positivi che le religioni propongono e che le fanno essere sorgenti di speranza”.

Sulla stessa scia anche padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli. “Parto da un’espressione che mi ha molto colpito del cardinale Kasper ‘la mistica della misericordia è una mistica degli occhi aperti’. Parto da questa espressione perché la ritengo molto adeguata per affrontare il tema della misericordia verso i migranti – sottolinea – pur essendo il fenomeno sotto gli occhi di tutti e pur dovendone constatare la enorme portata facciamo fatica a vederlo nella sua reale portata. Non lo vediamo nel modo adeguato perché lo vediamo solo dal nostro punto di vista di europei, di occidentali che tendono alla salvaguardia dei propri interessi alla difesa delle proprie frontiere più che alla difesa dei diritti di tutti, trasformiamo i diritti in privilegi. Occorre riportare la loro dignità al centro. Di fronte al flusso nel Mediterraneo di persone di diverse nazionalità africane della scorsa estate si è fatto avanti l’alibi del migrante economico. Da più parti abbiamo sentito ripetere che si può essere disposti a accogliere chi fugge da guerre ma chi parte in cerca di condizioni più umane per sé e la propria famiglia costui non ha diritto di entrare in Europa, va identificato e rimandato a casa sua. Tuttavia oggi si registra una crescente tendenza a livello internazionale a riconoscere tali persone come rifugiati “de facto” per ragioni umanitarie, data la natura involontaria della loro migrazione”. Ripamonti ha ribadito che non bisogna lasciar passare il binomio migrante, rifugiato-terrorista: “è difficile da scalfire e poco valgono dichiarazioni di smentita anche di persone autorevoli quando nei fatti si opera in altro modo. Trovo pernicioso mettere sullo stesso piano i rifugiati, i migranti, con i terroristi. Ricordiamoci che si tratta di persone che sono obbligate a scappare dal loro Paese per colpa di chi sparge il terrore. Eppure la rinnovata enfasi sulla sicurezza ha avuto come conseguenza immediata un’accelerazione delle politiche di chiusura dei confini. Senza andare troppo lontano anche nel nostro Paese e nella nostra città si sono intensificati i controlli soprattutto in quei luoghi di aggregazione di migranti da mesi per non dire da anni sotto gli occhi di tutti nelle modalità in cui appaiono oggi. Tutto questo non fa certo verità sulla vita della maggioranza di queste persone che arrivano nei nostri paesi ma complica la loro vita creando confusione nell’opinione pubblica. Allora credo che il giubileo della misericordia e la misericordia per i migranti e dei rifugiati passi innanzitutto nel mettersi nei loro panninel cercare di capire le loro motivazioni, nel cercare di entrare nella varietà delle loro culture e di dialogare con le diversità delle loro religioni”.

All’incontro hanno partecipato anche due “voci della speranza in Libano”, come li ha definiti don Vittorio Ianari di Sant’Egidio. Il primo Antoine Courban, docente Saint Joseph University, ha fatto appello ai moderati delle diverse religioni per un patto contro ogni forma di terrore. “Come cristiani della chiesa di Antiochia ci rifiutiamo di rispondere al male con il male – ha detto – La chiesa ortodossa non benedice alcuna guerra, sta a ciascuno di noi essere misericordioso e non demonizzare l’altro. Serve un’azione congiunta dei moderati delle due sponde del Mediterraneo. Sogno una riconciliazione con Ismaele e spero che papa francesco trovi la via”. Mohammad Sammak Islamic, segretario generale dell’Islamic Spiritual Summit ha ricordato che un terzo dei musulmani, (1, 6 milioni) non vivono in paesi musulmani, “questa interconnessione fisica comporta una mutua accettazione, il rispetto e la cooperazione – ha detto -. La porta principale per giungervi è  un reciproco comprendersi, la nostra Aetate (il documento che regola i rapporti  tra religione cristiana e altre religioni, ndr)  è la fonte principale di questa comprensione”.

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