Dopo l’attentato in Afghanistan, la mia nuova vita da atleta paralimpica

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photo credit: Stefano Dal Pozzolo

Il caporalmaggiore Monica Contrafatto, veterana dell’Afghanistan, sarà presente al convegno “La disabilità non è un problema!”, organizzato il 3 dicembre dall’Inail insieme al ministero dei Beni, delle Attività culturali e del Turismo e al Comitato Italiano Paralimpico. In anteprima l’articolo che verrà pubblicato da SuperAbile Inail, la rivista mensile sulla disabilità edita dall’Istituto, nel numero doppio dicembre 2015-gennaio 2016 in uscita tra pochi giorni.
È di poche parole, concreta, alla mano. Trentaquattro anni, siciliana di Gela, il caporal maggior scelto del “ruolo d’onore” (previsto per i militari che abbiano contratto disabilità permanenti in servizio e che possono così permanere a tutti gli effetti nelle Forze armate) Monica Contrafatto è una delle promesse della Filiale romana del Centro protesi Inail. Che per accompagnare il suo cammino di atleta realizza per lei le protesi sportive più all’avanguardia.
Da piccola sognava di fare il poliziotto, ma quando ha visto i bersaglieri svolgere il servizio di “Vespri siciliani” per le strade della sua città, è rimasta folgorata dal portamento elegante e dal fez, il caratteristico copricapo rosso col pon pon blu. E così nel 2006 ha fatto domanda per l’esercito e, dopo un anno in un altro reparto, è stata assegnata proprio al primo Reggimento bersaglieri, con cui è partita due volte in missione per l’Afghanistan. La seconda volta è stata quella fatale. “Ero arrivata nel distretto di Gulistan da un mese, ero felice – racconta –. Eravamo in fase di ricognizione per vedere se c’erano ordigni nel terreno. Il 24 marzo 2012 abbiamo subito un attacco. Alla seconda bomba da mortaio caduta nella base, ho sentito una ventata calda e ho capito che ero stata ferita. Ho alzato lo sguardo e ho visto che perdevo sangue dalla mano, poi ho guardato la gamba e perdevo sangue anche da lì. Un collega, Salvatore De Luca, mi ha tirato via di là, salvandomi la vita”.
Quando si sveglia dal coma farmacologico, è in un ospedale americano in Germania. È vigile e lucida come dopo l’attacco: alla neurologa che le chiede se ricorda cosa è successo, spiega per filo e per segno come sono andate le cose. Ricorda tutto e non ha difficoltà a parlarne. Allo stesso modo, più tardi riesce ad accettare la perdita della gamba destra sopra il ginocchio con serenità. “Sono molto cattolica – dice –. Forse mi è stata riservata la possibilità di vivere una seconda vita e di poter aiutare gli altri attraverso il mio esempio. Non mi sono mai lamentata, meglio a me che a un’altra persona”. Dopo l’attentato Monica lascia il Reggimento e attualmente è allo Stato maggiore dell’esercito, dove svolge un lavoro di ufficio. “È stata questa la cosa peggiore – spiega –. Ma se ho perso il lavoro, ho trovato lo sport”.
Durante le Paralimpiadi del 2012, ha visto in tv Martina Caironi vincere l’oro nei 100 metri. Si è detta: “Un giorno sarò come lei” e da quel momento non si è data tregua. Alla fine del 2012 aveva la protesi da cammino e nel 2014 quella da corsa. E neppure un infortunio al ginocchio, che l’ha bloccata per un altro anno, è riuscito a farle cambiare idea. Da quando ha potuto indossare di nuovo la sua protesi da corsa, ha ricominciato ad allenarsi tre volte a settimana nei 100 metri con la stessa serena determinazione che contraddistingue ogni suo atto.
All’orizzonte ci sono i Giochi olimpici di Rio de Jainero 2016: “Non devo fare altro che allenarmi – riflette –. Poi, se arriveranno le Paralimpiadi, sarà bellissimo. Se non arriveranno, potrò dire di averci provato”. Nel frattempo, lavorando sodo, in poco tempo, con 16 secondi e 98 centesimi Monica si è conquistata un quinto posto nella categoria T42 ai Campionati mondiali paralimpici di atletica leggera che si sono svolti a fine ottobre a Doha, nel Qatar. Un successo che la consacra nella rosa delle atlete più forti del mondo. E che rende i Giochi paralimpici più vicini. Niente male per una che si allena da soli quattro mesi e di cui nei prossimi anni sentiremo sicuramente parlare. (Antonella Patete)