Azzardo, l’identikit del giocatore patologico

ROMAÈ narcisista, ma ha una bassa stima di sé; è impulsivo e pensa di poter smettere quando vuole, ma finisce spesso per compromettere i rapporti con amici e familiari. È questo il profilo del giocatore d’azzardo patologico delineato dal Quaderno della Fondazione Tertio Millennio intitolato “La dea bendata. Viaggio nella società dell’azzardo”presentato nei giorni scorsi durante il Salone dell’Editoria sociale a Roma. Un testo completamente dedicato al mondo dell’azzardo, dagli incassi dello Stato ai rischi per le persone, fino al ruolo delle banche, per quello che per molte persone non è solo un gioco. In Italia, secondo quanto riportato nel testo, sono 15 milioni i giocatori d’azzardo in Italia. Di questi sono 2 milioni quelli definiti “problematici” e quindi a rischio. Quelli patologici, invece, sono 800 mila. “Si tratta di una dipendenza senza sostanza – spiega il testo – che ha una pesante ricaduta economica (debiti, prestiti, usura), devastanti effetti sulle relazioni professionali, personali e familiari (assenze dal lavoro, licenziamento, separazione, divorzio, etc.) e può condurre a compiere azioni illegali (furto, frode, frode fiscale)”. Il suicidio, inoltre, è quattro volte superiore alla media tra le persone che ne sono affette, aggiunge il testo.

Ma chi è il giocatore patologico? A questa domanda, il testo spiega: “Solitamente è una persona narcisista, dipendente e impulsiva, ma con una bassa stima di sé. È impulsivo, non può fare a meno di giocare, ma pensa di poter smettere quando vuole. Con il proprio comportamento compromette e poi distrugge le sue relazioni con gli amici, con il partner e i figli, quelle lavorative, (trascurando e svolgendo male i propri compiti)”. Il giocatore, inoltre,  è “eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo, cioè rivive esperienze passate di gioco, soppesa e programma la successiva avventura, pensa ai modi per procurarsi denaro con cui giocare; spesso gioca d’azzardo quando si sente a disagio; dopo aver perso al gioco, rincorre le proprie perdite; mente per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo”.

I campanelli d’allarme da tenere in considerazione, spiega il testo, sono quelli riportanti dal manuale dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association. Si parla di gioco d’azzardo patologico quando nell’arco di 12 mesi si verificano contemporaneamente alcuni di questi comportamenti: dal bisogno di giocare quantità di denaro crescente all’irritabilità di quando si tenta di ridurre o interrompere il gioco; dai ripetuti tentativi di smettere o controllare il gioco ai pensieri frequenti sulle prossime giocate; dal ritorno al gioco subito dopo una perdita alle menzogne sull’entità del denaro giocato, fino a mettere a repentaglio relazioni personali e chiedere denaro per giocare. E le notizie di cronaca riportate nel testo e raccolte dai giornali fanno capire meglio il fenomeno: come le tante notizie di neonati abbandonati in auto per poter giocare d’azzardo (da Roma a La Spezia), quelle degli imprenditori che arrivano a giocarsi l’azienda perdendo tutto al videopoker, come accaduto a Treviso. C’è anche chi si toglie la vita, come successo nel 2013 a Barano d’Ischia in provincia di Napoli e poi c’è chi arriva ad uccidere come nel dicembre 2013 a Cesano Boscone, nel milanese, dove una donna di 77 anni è stata soffocata dalla figlia e dal compagno della figlia ridotti al verde dalle perdite alle slot.

I numeri raccolti da vari studi pubblicati in questi anni sul fenomeno e riassunti nel testo sono “eclatanti”, ma da soli non sono sufficienti per “capire fino in fondo il dramma della dipendenza – si legge nel dossier -. Si tratta pur sempre di cifre asciutte e lontane, di un problema che affligge sempre qualcun altro e non noi. L’elaborazione di misure per contrastare il fenomeno richiede una comprensione più profonda ed empatica, che oltre che dei numeri si nutra delle storie delle persone, di coloro che si sono persi nel gioco o che lottano per uscirne. Scorrere i fatti di cronaca può dare un senso di sorpresa e smarrimento, ma ancor più forte e toccante è considerare che per ogni notizia drammatica ed estrema vi sono innumerevoli vicende di ordinaria esasperazione, che non fanno scalpore, ma costituiscono purtroppo l’amara quotidianità di migliaia di persone”. (Agenzia Redattore Sociale)

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