2015 anno dei rifugiati, intervista a Carlotta Sami (Unhcr)

Un milione di arrivi in Europa, 152 mila persone salvate in Italia, di cui tremila solo negli ultimi giorni. Quello che si sta per chiudere è senza dubbio l’anno dei rifugiati. E non solo nei numeri. Da quando, nel corso dell’estate, la crisi umanitaria dei profughi è arrivata nel cuore dell’Europa, con le immagini di chi tentava di oltrepassare le frontiere nei Balcani, la questione immigrazione è diventata centrale nel dibattito politico italiano ed europeo. Ma cosa è cambiato realmente? E cosa dobbiamo aspettarci per il 2016? Lo abbiamo chiesto a Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Unhcr (L’Alto commissariato Onu per i rifugiati), impegnata in questi mesi tra l’Italia e la Grecia (dove si è registrato l’afflusso record di profughi).

Sami, partiamo dalla fine per tracciare un bilancio dell’immigrazione in Italia nel 2015. Solo nella settimana di Natale sono state soccorse tremila persone al largo dell’Italia. Gli arrivi dunque continuano in maniera costante, nonostante la stagione invernale, si tratta di un’anomalia?
Gli arrivi degli ultimi giorni hanno molto colpito, ma il dato non è tanto diverso da quello dello scorso anno: a dicembre 2014 sono arrivate 6.700 persone, quest’anno nello stesso mese ne sono arrivate circa 8.400. Ma a novembre abbiamo registrato molte meno persone e a ottobre quasi la metà: in tutto gli arrivi ad oggi sono152mila, in diminuzione dunque rispetto al 2014, quando sono stati 170 mila. In Italia si registra una flessione, e questo è dovuto al fatto che il numero di persone che arrivano dalla Libia si è ridotto drasticamente, soprattutto per quanto riguarda i siriani e gli afgani, che come sappiamo sono più della metà dei rifugiati. Ora partono dalla Turchia e arrivano in Grecia, la rotta si è, infatti, spostata verso il Mediterraneo orientale. Nonostante la diminuzione dei numeri, però, le partenze dalla Libia restano costanti, non ci dobbiamo dunque sorprendere rispetto agli arrivi invernali. L’anno scorso, per esempio, i mesi di gennaio e febbraio sono stati drammatici, ci sono stati molti arrivi, solo a gennaio oltre 3500 persone, a febbraio oltre 4000. In quei mesi c’è stato anche un alto numero di morti e dispersi. Anche in questi giorni la Guardia costiera, con cui noi siamo costantemente in contatto, non sta abbassando la guardia. Anzi, mi hanno espresso la preoccupazione di veder mantenuto l’impegno nel salvataggio, ora che le necessità di pattugliamento del Mediterraneo sono molto concentrate anche nel garantire gli aspetti di sicurezza. L’attenzione deve restare alta, l’inverno non può autorizzare una  riduzione dei mezzi e dell’attenzione, questi sono i mesi in cui possono capitare le tragedie più grandi. Tragedie che vediamo capitare quasi ogni giorno tra Grecia e Turchia.

Nel 2015, infatti, il dato negativo da registrare è il numero record di morti in mare
Abbiamo ormai raggiunto oltre 3.700 persone morte o scomparse nel 2015, l’anno scorso erano state 3.500. Me se rapportiamo questi dati al numero degli arrivi, in proporzione quest’anno sono più bassi: se nel 2014 infatti sono arrivate in Europa circa 216mila persone, nel 2015 la quota di arrivi supera il milione. Al di là dei numeri assoluti, però, quello che ci spaventa di più e che ci lascia attoniti è che tra Grecia e Turchia, il numero dei morti tra i bambini è percentualmente molto alto. Lì ci sono sempre più famiglie, con bambini molti piccoli, che fanno questa traversata. Noi non sappiamo quanti siano i bambini morti sul totale, anche perché è difficile tenere questo tipo di conti, ma di sicuro sono tanti, troppi. Purtroppo questo stillicidio continua ad andare avanti, ed è dovuto anche al fatto che nel 2015 sono stati fatti importanti passi in avanti ma ci sono ancora alcuni nodi irrisolti.

Carlotta Sami
Carlotta Sami

Quali sono i nodi da sciogliere nel 2016?
Il nodo principale, anzi direi la sfida principale del 2016 per noi è quella di veder concretizzate veramente le vie legali per l’accesso dei rifugiati in Europa. Questa è l’unica chiave che permetterebbe di andare a diminuire il numero degli arrivi irregolari ma anche il numero dei morti. Inoltre, sarebbe così possibile alleviare il peso della questione dei rifugiati, che in Europa ha caratteristiche molto particolari. Si tratta infatti di un flusso mobile, le persone si muovono attraverso i paesi perché hanno un’idea molto precisa di dove vogliono andare a chiedere asilo. E noi sappiamo bene, anche come Agenzia, che una mobilità gestita in questo modo non è sostenibile. Se i numeri rimarranno questi è necessario che si prendano misure diverse.

Pensa che questo proposito sia realizzabile? A quanto abbiamo visto finora i governi europei, nei diversi summit a Bruxelles, hanno solo accennato alla questione dell’apertura di vie legali, non c’è stata una proposta forte e condivisa in questo senso
C’è stato un tentativo di aprire vie umanitarie dalla Turchia verso l’Europa, che però non ha trovato adesione. C’è stato poi il tentativo di creare una Guardia di  frontiera europea, che prevede la partecipazione delle diverse Guardie di frontiera nazionali. Questi sono tutti tentativi importanti perché, a partire da queste misure si può lavorare per uniformare gli standard, per gestire il fenomeno in maniera coerente, con le stesse procedure e gli stessi approcci. Per ora, però, la parte sull’apertura di vie legali non ha ancora visto un’adesione unanime. Nei vari paesi europei, tende a prevalere una visione parcellizzata in cui ogni singolo paese si considera ancora da solo nel voler gestire il fenomeno. Ma, in realtà, come è stato fatto notare molto chiaramente anche dalla Germania, l’Europa questa sfida o la vince insieme oppure la perde.

Nel 2015 ci sono state anche alcune aperture. In particolare, a un certo punto di quest’anno, quando hanno iniziato a circolare le immagini della crisi nei Balcani, è sembrato che i governi finalmente si rendessero conto che il problema dei migranti è innanzitutto un problema umanitario. Che risultati ci sono stati concretamente?
Junker è riuscito a portare a casa il risultato del ricollocamento tra paesi. Oggi vediamo che questa misura è applicata con lentezza, sia per via dei paesi che dovrebbero mandare le persone, che di quelli che le dovrebbero ricevere. Nei fatti è un piano che stenta a prendere il volo, mentre avrebbe dovuto funzionare in maniera spedita. Questo non sta accadendo. Si è riusciti poi ad ottenere, e questo è importante, la creazione di 50mila posti in accoglienza in Grecia ed altrettanti 50mila lungo i Balcani. In questo ultimo periodo la situazione sulle isole greche sta migliorando. A Lesbos gli arrivi oggi sono gestiti in maniera molto più ordinata, però parliamo sempre di arrivi irregolari, di persone che hanno rischiato di morire e che nella maggior parte dei casi continueranno il loro percorso verso altri paesi in maniera irregolare. In realtà, quello che deve succedere, lo ripeto, è che aumentino le vie legali. Ognuno dei paesi europei deve diventare un buon paese per l’asilo, con un sistema di accoglienza che funzioni.

profughi-in-barcone

L’accoglienza è stato un altro dei temi centrali nel 2015. Mentre le istituzioni continuano ad arrancare su questo fronte, In Italia, come in altri paesi, c’è stata una straordinaria mobilitazione civica: gruppi di cittadini si sono autorganizzati per aiutare i rifugiati. Questo, secondo lei, è il segno che si sta facendo strada un nuovo modo di guardare al fenomeno migratorio? E come può essere valorizzato?
Sì, abbiamo visto farsi strada questo nuovo approccio sia in Italia che in altri paesi. C’è stata una mobilitazione forte di volontari, società civile nazionale ma anche di persone che arrivavano da ogni parte del mondo, come è successo in Grecia. La partecipazione dei cittadini è straordinariamente positiva, e in molti casi hanno fatto davvero la differenza, dando aiuto laddove l’aiuto da parte degli Stati non stava arrivando. Noi crediamo che tutto questo debba essere strutturato e valorizzato anche dalle autorità nazionali. Questo è il caso dell’Italia. Il nostro paese, a livello locale, deve far tesoro di quanto accaduto in questi mesi, attraverso le reti di solidarietà che in Italia esistono da sempre. Bisogna investire sull’integrazione, contando su questo tesoro, che è quello dell’associazionismo buono, delle cooperative, della società civile positiva.

Se l’auspicio generale per l’Europa nel 2016 è di aprire vie di accesso legali, qual è la richiesta per l’Italia?
L’Italia deve realizzare un sistema integrato di accoglienza e integrazione. La strada, da parte del governo centrale è stata segnata in maniera positiva. E’ un buon segno che si sia voluto investire di più sullo Sprar ma bisogna continuare in questo senso, investendo anche nella riforma delle Commissioni territoriali e lavorando sull’integrazione.

Nel nostro paese resta, però, da sciogliere anche il nodo degli hotspot, un sistema che ad oggi non è ancora partito
L’hotspot  non è un centro ma è una procedura. Su questo quello che chiediamo è che le procedure vengano adottate in maniera coerente nelle diverse città e nei diversi hospot. E’ importante che a tutte le persone, anche a quelle che non vengono ricollocate, sia garantito, in maniera chiara e inequivocabile, il diritto di presentare domanda d’asilo in Italia. Quello che abbiamo visto finora, invece, è che c’è stata una diversità di applicazione delle procedure. E abbiamo fatto presente al ministero l’importanza di garantire a tutti l’informativa legale. (Redattore Sociale)