Terremoto: evacuato carcere di Camerino, detenuti vogliono rendersi utili in zone colpite

carceri

CAMERINO – “Il terremoto in carcere ha il rumore assordante della ferraglia dei letti che vibrano all’unisono e dei blindi che sbattono ferro contro ferro all’altezza della serratura e ti ricordano che da lì non puoi uscire. Non subito per lo meno. Non appena vorresti”. Chi ha vissuto il sisma dietro le sbarre racconta che “l’angoscia è sempre la stessa: quella del topo in gabbia” e che “nonostante la paura e l’impotenza, il primo pensiero va ai bambini e alle famiglie che hai lasciato a casa e sono là fuori, spaventati, a cercare un aiuto che tu non puoi dargli”.

Il terremoto della notte scorsa non ha risparmiato i due istituti che si trovano nel centro e a ridosso del nuovo cratere: quello di Camerino e quello di Ascoli Piceno. Il primo non ha retto alle scosse ed è stato subito evacuato e dichiarato inagibile. I 42 detenuti che vi erano rinchiusi, 34 uomini e 8 donne, sono stati trasferiti nel carcere romano di Rebibbia già nella notte. La piccola struttura, ricavata nell’antico convento di San Francesco (XIV secolo), era stata adibita a carcere agli inizi del ‘900, sfruttando il perimetro del vecchio chiostro al piano terra (uffici e sezione maschile) e una parte meno estesa del piano superiore (piccola sezione femminile). Negli ultimi anni era stata al centro di diversi progetti di riqualificazione che, nonostante numerose sollecitazioni, non avevano mai visto la luce a causa della mancanza di finanziamenti. Ora, come temono in molti, i colpi assestati dal terremoto probabilmente hanno scritto la parola fine nella storia dell’antico istituto di pena.

Situazione più tranquilla ad Ascoli Piceno, struttura in cemento armato dei primi anni ’80, realizzata con criteri antisismici. Nessun danno, al momento, e nessun trasferimento in vista.  “I detenuti sono tranquilli – rassicura la direttrice del carcere, Lucia Di Feliciantonio – nel limite in cui si può essere tranquilli in questa situazione. La loro preoccupazione più grande è rivolta ai familiari che sono fuori. Come accaduto anche in occasione del terremoto di agosto, molti di loro vorrebbero rendersi utili e intervenire come volontari nelle zone colpite dal sisma. Se ci sarà l’occasione di dare una mano siamo disponibili e vedremo come trovare il modo di intervenire”.

“Quando arriva il terremoto in carcere – racconta Pietro, ex detenuto – la tensione interna sale alle stelle: un po’ per te, molto per i familiari che sono fuori. Non puoi chiamarli, non riesci a sapere se stanno bene, se sono riusciti a scappare, se la tua casa  è stata danneggiata. Se hanno bisogno di aiuto. Resti attaccato alla Tv giorno e notte aspettando con ansia una lettera, di telefonare o il prossimo colloquio. Sarebbe di grande aiuto, anche per stemperare la tensione, che le telefonate, in occasione di grave crisi come questa, fossero liberalizzate: che ogni detenuto avesse la possibilità di chiamare subito i propri familiari per sapere se stanno bene”. (Agenzia Redattore Sociale)