Non solo altalena, la dimensione inclusiva per parco gioco

BOLOGNA – Il gioco è un diritto riconosciuto sia dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza delle Nazioni Unite sia dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità. Non sempre però i luoghi dedicati ai bambini sono accessibili a tutti.  E spesso, anche quando si parla di parco gioco accessibile, l’inclusione dei bambini con disabilità non è pienamente garantita. Proprio di questo di parlerà al convegno annuale del Criba Emilia-Romagna dal titolo “Non solo altalena: la dimensione inclusiva del parco gioco”, che si terrà domani a Bologna.

L’agenzia Redattore Sociale ha incontrato uno dei relatori, Mary Franzoni. Due volte mamma, blogger, amante dei viaggi e founder di Playground around the corner, sito più app che permette di trovare il parco giochi più vicino a dove ci si trova, Franzoni è convinta che “non basta una rampa per un bambino in carrozzina per far sì che un parco giochi si possa definire accessibile”.

Come è nato il progetto “Playground around the corner”?
“È nato da un’esigenza personale, quella di far giocare i miei figli quando siamo in viaggio. Non amando particolarmente i parchi di divertimento né le strutture private come i mini-club, il parco giochi è la soluzione ideale e la più economica. Mi sono resa conto, però, che soprattutto in Italia non è facile trovare informazioni sia chiedendo alle persone sia sul web, così ho deciso di iniziare a fornirle io, raccontando i parchi giochi in cui vado con la famiglia. A quelli si sono aggiunti i tanti che mi segnalano, così oggi sono oltre duemila i parchi giochi presenti sul sito e nella app”.

Veniamo all’accessibilità. Basta un’altalena per carrozzine a rendere inclusivo un parco gioco?
“Nonostante negli ultimi anni sia aumentata l’informazione intorno al tema dell’accessibilità dei parchi giochi, purtroppo molto spesso ci si limita proprio all’altalena. Che va bene, certo, però dev’essere inserita in un’offerta più vasta. A volte, inoltre, l’altalena viene messa in disparte e riservata esclusivamente a bambini disabili: così da possibile elemento di integrazione, il gioco diventa elemento di isolamento. I parchi giochi per essere davvero inclusivi devono invece favorire le relazioni tra pari in spazi progettati per tutti, quindi anche per bambini con disabilità visive o altre disabilità”.

Come siamo messi in Italia? Produttori e istituzioni prestano la giusta attenzione all’inclusione?
“Per quanto riguarda il mercato, oramai ogni azienda ha la sua linea dedicata ai giochi accessibili. Bisogna invece continuare l’opera di sensibilizzazione verso le amministrazioni pubbliche, come per esempio stanno facendo le mamme del blog Parchi per tutti. È principalmente alle istituzioni che bisogna far arrivare il messaggio che ogni parco giochi va progettato in modo attento e inclusivo. Per fortuna qualcosa si sta muovendo e anche qui in Italia stanno nascendo delle belle esperienze, come i parchi giochi a Fontaniva nel padovano, a Lissone in Brianza o al porto antico di Genova”.

Lei viaggia spesso anche fuori Italia. Qual è la situazione all’estero?
“Sono più avanti, c’è una diversa cultura, l’approccio nella progettazione è più creativo, più originale. Non è però così scontato che i parchi giochi, seppure splendidi, siano accessibili”.

Il parco giochi accessibile più bello che le sia capitato di vedere?
“Non ci sono andata personalmente, ma mi è stato segnalato. È il Tatum’s Garden, a Salinas in California, un parco giochi pienamente accessibile e davvero inclusivo, dove qualsiasi bambino può giocare stando spalla a spalla con gli altri, indipendentemente dalle loro capacità. Non solo: il parco giochi è stato progettato, finanziato e costruito dalla comunità come dono ai loro figli”.

 

(Intervista a cura di Redattore Sociale)