Far rispettare un diritto è cercare la verità. Nonostante le intimidazioni

(di Cristiana Panebianco) Mi è stato chiesto da più parti, anche da quelle inaspettate, di chiarire e argomentare meglio il mio precedente articolo dal titolo “Fare l’avvocato oggi? Impresa eroica: la mafia non uccide solo al sud. Appello ai COA” pubblicato il 14 luglio scorso su questa testata. Tengo volentieri fede alla promessa fatta, e lo farò con poche parole perché soltanto, ma è la mia personalissima opinione, le parole semplici forniscono la lettura vergine di concetti complessi che diventano, di colpo, immediatamente chiari.

Senza timore di smentita, non credo aver dichiarato l’inconsueto, affermando di aver ricevuto, di recente, intimidazioni, durante lo svolgimento di casi giuridici a rilievo penale: sono, ahimè, una delle tante persone a cui è capitato e capiterà. Su tutto: la vita è una intimidazione, quotidianamente. Certi mestieri, certe professioni, certe passioni, hanno soltanto il privilegio di aumentarle.

Perché il privilegio: se si è ricevuta una intimidazione o più di una, come è accaduto a me, velate devo dire, garbate nella loro intrinseca immoralità, è perché si è toccato un diritto o, ancora, si è cercato e si sta cercando di farlo rispettare oppure, ancora, si sta cercando di fare luce su una morte sospetta.

Cercare di far rispettare un Diritto è cercare una verità, che non ha la pretesa di essere la sola o di esser l’unica e non potrebbe essere diversamente. La verità è una ricerca costante e progressiva ed in questa progressione ben possono aggiungersi altre verità. E’ un lavoro meticoloso, puntuale, faticoso ma deve essere libero e pulito.

Non ho affidato quelle frasi, pronunciate con leggerezza, quasi a volerle fare sparire nel vorticoso e consapevole turbinio di parole veloci, a tratti incomprensibili, alla tutela della legge: non era e non è mia intenzione conferirvi né peso né valore. Ne ho preso atto e la mia risposta, netta e immediata, è stata quella di procedere, con più forza, se possibile, lungo il mio cammino.

Se un giorno, vicino o lontano, dovessi lasciare l’Avvocatura, non sarà, certamente, per questo tipo di intimidazioni, perché queste fanno parte della professione che ho scelto e del modo con cui ho scelto di esercitarla. Sono altre le intimidazioni che, quotidianamente, mi offendono, ma non spaventano, e sono quelle che incontriamo tutti ma che, spesso, facciamo finta di non vedere ovvero ci illudiamo che non ci tocchino o che non ci toccheranno.

Intimidire è assumere un atteggiamento discriminatorio abusando del proprio potere, in via generale. Intimidire è non trovare alleanze nella lotta per la giustizia. Intimidire è comprendere di essere stato lasciato solo, in quella lotta. Intimidire è dover chiedere qualcosa che ci appartiene già. Intimidire è dover combattere ogni volta che la Morale viene slacciata dal Diritto.

E’ probabile che possa sfuggire, ma se guardiamo, con attenzione, i nostri giorni, anche quelli apparentemente qualunque, troveremo, sempre, una forma, più o meno sfumata, più o meno forte, più o meno grave, di intimidazione. Di queste dobbiamo avere timore perché, in queste, può annidarsi il seme resistente per altre specie di intimidazioni.

Non ho mai utilizzato, e non a caso, il termine paura. Perché la paura può anche essere una qualità e non volevo inserirla in questo mio discorso dove di qualità in senso ampio, purtroppo, non posso parlare.

Alla base di tutte le tipologie di intimidazioni, vi è sempre una Questione Morale ovvero una Morale che viene calpestata, e senza sosta né pentimento né ravvedimento.