“Caro Babbo Natale…”: a Roma l’albero dei desideri

ROMA – “Non c’è epoca dell’anno più gentile e buona, per il mondo dell’industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso (…); al di là dei vetri appannati, sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo s’inoltrano gli zampognari, discesi da buie misteriose montagne, sostano ai crocicchi del centro, un po’ abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino dànno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini d’affari le grevi contese d’interessi si placano e lasciano il posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo più grazioso il dono più cospicuo e originale”.

Così Italo Calvino descriveva la magia del Natale. Ma anche a distanza di qualche decennio, nell’era del consumo 2.0 e al galoppo della viralità delle “reti sociali”,  se ci muoviamo sulle tracce dei novelli Babbi Natale, anche noi riusciamo a rimanere di stucco. Dal 12 al 26 dicembre, infatti, nella stazione di Roma Termini è arrivato l’albero dei desideri. Un grande tabellone illuminato,che, insieme ai suoi aiutanti dal mantello rosso, si incarica di raccogliere i desideri di tutti quelli che aspettano il Natale.

L’iniziativa, è cominciata già da alcuni giorni e sta riscuotendo un enorme successo. Sono tante le persone che si fermano. Molti sono turisti, e tra grandi e piccini ma non mancano gli italiani che si fermano e decidono di appendere il loro desiderio sotto il tetto della galleria centrale.Chiunque ne abbia voglia infatti, può lasciare un piccolo messaggio e farsi scattare una foto, che verrà poi proiettata in tutti gli schermi della stazione. Tra un “babbo natale fammi laureare” e le promesse d’amore eterno ai rispettivi fidanzati,  c’è chi per Natale esprime dei desideri molto concreti: quello di una casa, di un letto per dormire ed un fornelletto per cucinarsi i pasti, e soprattutto, quello di un lavoro.

“Era capitato che agli Uffici Relazioni Pubbliche di molte ditte era venuta contemporaneamente la stessa idea; e avevano reclutato una gran quantità di persone, per lo più disoccupati, pensionati, ambulanti, per vestirli col pastrano rosso e la barba di bambagia. I bambini dopo essersi divertiti le prime volte a riconoscere sotto quella mascheratura conoscenti e persone del quartiere, dopo un po’ ci avevano fatto l’abitudine e non ci badavano più”, scriveva sempre Calvino. Forse in molti questo Natale, invece di fare come Marcovaldo e persuadersi di vivere nel Paese della Cuccagna, dove tutti comprano, se la godono e si fanno i regali, passando davanti all’albero dei desideri dovrebbero ricordarsi che parlare di povertà non è una vergogna. (Redattore Sociale)