Riina, Bindi: “La scarcerazione sarebbe un segnale di cedimento”

ROMA – “La dignità della persona va garantita in carcere e, per quanto riguarda la situazione di Riina, come Commissione Antimafia riteniamo che sia garantita da strutture sanitarie d’eccellenza che sono nel carcere in cui è detenuto. La sua scarcerazione sarebbe un segnale di cedimento dello Stato nei confronti della mafia che non ci possiamo permettere”. Così Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, ha commentato la sentenza della Cassazione che apre ad un’eventuale scarcerazione di Totò Riina perché gravemente malato.
La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una decisione negativa del tribunale di sorveglianza di Bologna (Riina è recluso nel carcere di Parma) che nel maggio del 2016 aveva escluso il differimento della pena per Totò Riina, dicendo che dalle relazioni sanitarie presentate emergevano sì le sue gravi condizioni di salute, ma non tali da rendere inefficace un intervento in ambiente carcerario. A sostegno del rigetto dell’istanza di scarcerazione, i giudici di Bologna avevano presentato motivazioni che avevano a che fare con la notevole pericolosità di Riina e con le conseguenti esigenze di sicurezza e incolumità pubblica. La Suprema Corte ha ora ordinato un nuovo esame della situazione da parte della magistratura bolognese,

“Leggeremo con attenzione la sentenza della Cassazione – spiega Bindi – ma vorrei rassicurare tutti sul fatto che Totò Riina in carcere per il 416 bis ha a disposizione strutture sanitarie d’eccellenza ed è assolutamente garantita la dignità della sua persona per la fase che sta attraversando, che è quella della malattia”.
“Crediamo che in questo modo si risponda alla domanda che anche la Cassazione sottolinea”, prosegue la presidente, rilevando che “nessuno vuole negare la dignità a chi, peraltro, non ha certamente assicurato dignità né in vita né in morte a migliaia di persone. Lo Stato agisce nel canone della legalità e quindi del rispetto della persona, e a Riina tutto questo è assicurato”.

“Personalmente e anche come Commissione – aggiunge Bindi – siamo contrari alla commutazione della pena, soprattutto ad eventuali arresti domiciliari per molti motivi, il primo dei quali è che Riina non solo è stato ma è tuttora il capo di Cosa Nostra. Ci sono elementi evidenti da intercettazioni e da inchieste che sono ancora in corso”. “Nel caso fosse riportato nel suo luogo d’origine – prosegue – la sua casa si trasformerebbe in un santuario di mafia dove vive anche una famiglia di mafia: tutti i suoi figli, infatti, sono stati condannati per il 416 bis e non si sono mai dissociati”.
“Lo Stato – conclude la Bindi – è anche pronto ad usare l’arma della misericordia attraverso la giustizia, ma non può certamente mettere a rischio la dignità delle Istituzioni, delle vittime, di tutti gli altri cittadini”. “Si assista Riina come va assistita qualunque persona nella malattia, lo si accompagni verso la morte in maniera dignitosa, cosa che spesso non è garantita a molti cittadini italiani, ma – conclude – non si cambi il regime di 416 bis”. (Agenzia Redattore Sociale)