Msf: “Ecco la mappa dei migranti fuori dal sistema di accoglienza”

Credit Alessandro Penso/MSF

Bloccati alle frontiere, negli spazi aperti e negli edifici occupati delle città, nei ghetti delle aree rurali, senza accesso ai beni essenziali e alle cure mediche di base, spesso costretti a condizioni di vita durissime. Vivono così migliaia di richiedenti asilo e rifugiati, che pur essendo regolarmente presenti sul territorio italiano, si trovano al di fuori di un sistema di accoglienza ancora ampiamente inadeguato. Lo denuncia la seconda edizione del rapporto di Medici Senza Frontiere (MSF) “Fuori campo”, frutto di un lavoro di monitoraggio compiuto nel 2016-2017 in circa 50 insediamenti informali, per un totale di 10.000 persone, in prevalenza richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale o umanitaria.

MSF, che in diversi insediamenti informali ha avviato progetti di assistenza medica e servizi di orientamento socio-sanitario, chiede alle istituzioni competenti, nazionali e locali, di favorire concrete politiche di accoglienza e inclusione sociale per richiedenti asilo e rifugiati, e di assicurare l’accesso ai beni primari e alle cure mediche a tutti i migranti presenti in Italia, a prescindere dal loro status giuridico e per tutto il periodo della loro permanenza sul territorio italiano.

“Dopo due anni, Fuori Campo si conferma una triste mappatura della vulnerabilità e dell’emarginazione sociale cui sono costrette migliaia di uomini, donne e bambini che avrebbero diritto ad accoglienza e protezione mentre oggi non hanno nemmeno un riparo decoroso, cibo sufficiente, l’accesso a cure essenziali”,dichiara Giuseppe De Mola, advocacy officer MSF, curatore del rapporto Fuori Campo. “Una situazione desolante, che non ha bisogno di strumentalizzazioni e inapplicabili slogan, ma di soluzioni reali, a partire da un più adeguato modello di accoglienza e da serie politiche di integrazione, a livello nazionale, regionale e locale”.

Rispetto al quadro delineato nella prima edizione del rapporto riferita al 2015, i recenti sgomberi forzati senza soluzioni abitative alternative stanno determinando la frammentazione degli insediamenti informali e la costituzione di piccoli gruppi di persone che vivono in luoghi sempre più marginali e che non riescono ad accedere non solo ai servizi socio-sanitari territoriali, ma anche ai beni più elementari come l’acqua, il cibo, l’elettricità. Tra loro ci sono persone provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa, ma anche da Siria, Iraq, Pakistan, Afghanistan, appena arrivati in Italia o presenti nel nostro Paese da anni, titolari di una forma di protezione internazionale o umanitaria ma che faticano a raggiungere un inserimento lavorativo e abitativo stabile. In alcuni siti, ci sono anche italiani a condividere le condizioni dei migranti.

In molti casi l’assistenza a migranti e rifugiati esclusi dall’accoglienza viene garantita da gruppi di volontari locali, che spesso per questo motivo subiscono forti pressioni, talvolta culminate in procedimenti giudiziari nei loro confronti.

Nell’ambito della propria analisi sui migranti in Italia, MSF dedica un’indagine specifica, “Mal di Frontiera”,al caso Ventimiglia. Qui i respingimenti dalla Francia continuano nonostante gli accordi di Schengen sulla libera circolazione siano ancora formalmente in vigore, e quasi 1 migrante su 4 tra quelli intervistati da MSF ha dichiarato di avere subito violenze, in molti casi commesse da uomini in uniforme di nazionalità italiana o francese. A causa della chiusura delle frontiere da parte di Francia, Austria e Svizzera, più di 20 persone negli ultimi due anni sono morte nel tentativo di attraversare i confini e cresce ovunque il numero di migranti, anche minori non accompagnati, bloccati nelle aree di frontiera, che vivono in insediamenti informali, spesso all’aperto, nei parchi cittadini, lungo le rive dei fiumi, presso le stazioni ferroviarie, con un accesso limitato ai beni essenziali e all’assistenza sanitaria.

In alcune città le istituzioni locali hanno cercato di superare la condizione di marginalità di alcuni insediamenti informali, anche all’interno di edifici occupati, rifuggendo dalla logica degli sgomberi forzati (come a Torino, Padova, Cosenza); alcune Aziende Sanitarie Locali hanno promosso l’inclusione degli abitanti di insediamenti informali nel servizio sanitario pubblico, anche in collaborazione con MSF (Torino e Roma). Tutte esperienze concrete, che vanno nella direzione dell’integrazione sociale di uomini, donne e bambini che si trovano comunque a vivere in una condizione di vulnerabilità estrema.

“Molte delle attuali politiche locali, nazionali ed europee per la gestione della migrazione sono totalmente incentrate sul controllo dei flussi e la chiusura delle frontiere, alla proclamata ricerca di sicurezza, ma hanno come risultato diretto la creazione di vulnerabilità e marginalità sociale”, dichiara Tommaso Fabbri, capo dei programmi MSF in Italia. “È ora di invertire la rotta e dare vita a politiche di accoglienza e integrazione strutturali e più umane: ne beneficerebbero, oltre che migranti e rifugiati, anche le comunità locali.”

 

Nel 2016 e nel 2017, MSF ha rafforzato il proprio impegno a supporto dei migranti negli insediamenti informali. A Como e Ventimiglia è stato realizzato un programma di primo soccorso psicologico per le popolazioni in transito, integrato nella città ligure da un intervento sulla salute della donna. A Roma è stata avviata un’attività di salute primaria e supporto psicologico all’interno di edifici abbandonati dove uomini, donne e bambini vivono in condizioni indegne. A Bari e Torino MSF ha avviato un programma di orientamento socio-sanitario all’interno di edifici occupati, per superare la marginalità dei residenti facilitando il loro accesso alle strutture del Servizio Sanitario Nazionale. Infine, nelle città di frontiera, attraverso la collaborazione con gruppi di volontari locali, MSF ha reso possibile la distribuzione di generi di prima necessità, come coperte, sacchi a pelo, kit igienici.

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