Donne in Italia e in Spagna: discriminate, mal pagate e a rischio povertà

ROMA – Non ci può essere crescita economica senza uguaglianza di genere. È quanto emerge dalla ricerca effettuata da Cilap Eapn Italia e Eapn Spagna sulla povertà femminile in Italia e Spagna, presentata questo pomeriggio durante il seminario del Cesv Lazio di Roma “Il volto femminile delle donne”. Lo studio si basa su dati istituzionali e sui risultati di un questionario a cui hanno partecipato 19 donne dai 25 ai 77 anni. Negli ultimi anni la Spagna e l’Italia sono state duramente colpite dai tagli alla spesa sociale provocati dalle misure di austerità. A farne le spese sono state soprattutto le donne sempre più discriminate e a rischio emarginazione. Il Semestre europeo e il piano Europa 2020 per eliminare la povertà non ha tenuto conto delle problematiche di genere che invece hanno avuto un impatto importante sulla recessione di questi ultimi anni.
Secondo lo studio i tagli ai servizi sanitari e sociali hanno provocato la loro privatizzazione e il ritorno ai ruoli di genere tradizionali, trasferendo la responsabilità di cura dalla società alle donne. Quest’ultime sono state costrette a lasciare il lavoro o a diminuirne le ore per poter provvedere personalmente a quei servizi che il settore pubblico non è stato più in grado di garantire. Rispetto a dieci anni fa, è aumentato il numero delle donne che oggi ha lavori mal pagati, temporanei o a tempo parziale.

Le disuguaglianze di genere in Spagna. Dai dati del rapporto “Donne e Uomini in Spagna”, dell’Istituto Nazionale di Statistica nel 2012, emerge come le disuguaglianze di genere siano presenti in tutti i principali settori della società spagnola: in media le donne guadagnano annualmente il 22% meno degli uomini, 19.502 euro contro 25.001 euro. Hanno un tasso di rischio di povertà del 21,3% contro il 20,1% degli uomini e il 15,2% ha un reddito minore, o uguale, al salario minimo (641,20 euro mensili) contro il 5,6% degli uomini. L’82,2% delle persone disoccupate è donna e non lavora perché deve prendersi cura dei figli. Il 7,4% degli uomini occupati ha lasciato il lavoro per più di un anno dopo la nascita di un figlio contro il 38,2% di donne. Le donne si occupano della casa e della cura della famiglia per una media di 4 ore e 29 minuti al giorno contro le 2 ore e 32 minuti degli uomini. Mediamente, una pensionata riceve al mese 597,21 euro; un pensionato 971,92 euro.

Le disuguaglianze di genere in Italia. Secondo gli ultimi dati Istat, il tasso di occupazione degli uomini tra i 15 e 64 è del 64% contro il 46,6% del tasso femminile. Un pensionato percepisce, in media, 14.728 euro all’anno contro gli 8.964 di una pensionata. Solo il 18% dei bambini da 0 a 3 anni frequenta un nido pubblico. Anche per questo il 50% delle donne lascia il lavoro appena nasce il primo figlio. Nel 2013, in Italia, il 31,9% delle donne e il 7,9% degli uomini lavorava part-time. Secondo il rapporto dell’OCSE “How is Life 2013”, ogni donna in Italia dedica 36 ore alla settimana ai lavori domestici, mentre gli uomini non vanno oltre le 14. Sono 22 ore di differenza e si tratta del divario maggiore tra tutti i Paesi industrializzati. Anche facendo la media tra lavoro dentro e fuori casa, le donne lavorano in media 11 ore in più degli uomini.
Nel 2012, il 31,7% delle donne italiane era a rischio povertà ed esclusione sociale. Una percentuale che sale al 41% per le mamme sole. Quest’ultime sono vittime di discriminazioni continue: la mancanza di servizi per l’infanzia è una delle cause principali che impedisce di trovare lavori di qualità. Rispetto all’UE, l’Italia è il paese nel quale è più alto il numero di coppie in cui lavora solo il maschio (32,7%). Inoltre,una ricerca dell’Istat del 2011 ha dimostrato che l’8,7% delle madri lavoratrici (800.000) o che hanno lavorato in passato sono state costrette a dimettersi perché incinte.
Anche in Spagna è opinione condivisa che le donne siano lavoratori più “problematici”: nel 2014, da Monica Oriol, la presidente dell’Associazione spagnola degli industriali, ha dichiarato che preferisce assumere “una donna che abbia più di 45 o meno di 25 anni” proprio per evitare il “problema” delle gravidanze. (Redattore Sociale)

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