Anoressia e bulimia, “ecco i segnali che i genitori non devono ignorare”

ROMA – Il 15 marzo 2017 ricorre la VI Giornata del Fiocchetto Lilla, nata nel 2012 con l’intento di sensibilizzare sui disturbi del comportamento alimentare (Dca). Sempre più città aderiscono all’iniziativa lanciata cinque anni fa da Stefano Tavilla, presidente dell’Associazione “Mi nutro di vita”. In Italia sono circa 3 milioni le persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare, di cui il 95,9% sono donne e il 4,1% uomini. La percentuale di decessi in un anno per anoressia nervosa si aggira tra il 5,86 e 6,2%, tra 1,57 e 1,93% per bulimia nervosa e per gli altri disturbi tra 1,81 e 1,92%. Il libro “Corpi senza peso” di Stefano Vicari e Ilaria Caprioglio, edito da Edizioni Centro Studi Erickson, indica che l’età di esordio di questi problemi si colloca generalmente tra i 15 e i 19 anni anche se di recente sono sempre più frequenti casi di anoressia già a partire dai 9 anni. I disturbi del comportamento alimentare, che possono essere suddivisi in sei differenti gruppi (Pica, Ruminazione, Disturbo Alimentare di Evitamento o Restrizione del cibo, Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbo di Alimentazione Incontrollata), costituiscono un complesso insieme di disturbi mentali. Questi fenomeni vengono infatti molte volte sottovalutati sia da chi ne soffre che dalle famiglie.

La diagnosi precoce e la presa in carico della persona sono il cardine per il trattamento della malattia e la famiglia costituisce una risorsa importante, giorno dopo giorno, nella cura dei propri ragazzi. Un intervento repentino è in grado infatti di migliorare decisamente l’outcome, con tassi di risoluzione che in età evolutiva possono arrivare fino al 70-90% dei casi. Si tratta di un percorso molto complesso che va dal ricovero ospedaliero, nelle forme più gravi, al trattamento ambulatoriale o in centri specializzati per le forme meno severe o croniche. Per questo, le famiglie devono essere sostenute e accompagnate in tutto l’iter di cura della malattia del figlio, un percorso che spesso destabilizza e impaurisce.

Stefano Vicari, direttore della Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, con il Centro Studi Erickson cerca di individuare quali sono i segnali di allarme che i genitori possono cogliere per una diagnosi precoce e cosa è importante fare per affrontare nel modo più corretto i disturbi del comportamento alimentare.

Anoressia e bulimia si insinuano nella vita degli adolescenti come un moderno demone che vede nel cibo il nemico-amico. Osservando i comportamenti del proprio figlio, quali sono i campanelli d’allarme che un genitore non dovrebbe sottovalutare?
Tre i campanelli d’allarme: un forte dimagrimento, la perdita del ciclo mestruale e un comportamento ossessivo verso la propria forma fisica. Gli adolescenti presentano spesso momenti di crisi, assolutamente sani perché rappresentano la loro fase di crescita verso la vita adulta. Ma, a volte, i comportamenti problematici costituiscono un campanello d’allarme se non delle vere e proprie richieste di aiuto. Il confine tra situazione patologica e non-patologica è dato dal benessere e della qualità della vita delle persone.

Come instaurare un dialogo proficuo con l’adolescente “interrotto”?
Imparando a osservare e ascoltare, senza giudicare i propri figli. Occorre esserci, a volte anche in silenzio, garantendo una presenza anche fisica. Senza proporsi come detentori di verità assolute ma evitando, allo stesso tempo, di perdere il proprio ruolo di adulti, di voler “fare gli amici”. Tremo quando un genitore mi dice “io e mio figlio/a siamo due ottimi amici”.

Cosa fare subito?
I genitori devono saper osservare i propri figli, cogliere i loro cambiamenti nel fisico, nel comportamento e nel loro umore. Nei casi più gravi è meglio consultare un medico, senza perdere tempo. In generale, si deve favorire la richiesta di aiuto, accompagnando il ragazzo o la ragazza nel cogliere quello che sta attraversando. Può essere un momento di difficoltà, di cui non c’è da aver paura nel parlarne e nel farsi aiutare. Il messaggio dovrebbe sempre essere: “C’è sempre una soluzione e io sono qui per darti una mano”.

Cosa non fare mai?
Pensare che il cibo sia il problema. Far sentire come un fastidio il problema del figlio, esprimere giudizi o essere ipocriti facendo finta che non ci siano problemi.. Dire ” mangia un po’ di più così si risolve tutto” o “va tutto bene, non ti preoccupare” quando invece la situazione è drammatica.

A chi possono rivolgersi i genitori?
A centri altamente specializzati, con esperienza specifica. È importante prendere, se possibile, ogni decisione insieme al minore.

La causa dei disturbi del comportamento alimentare è certamente legata a molti fattori di natura  biologica, ma soprattutto psicologica e socio-culturale.
Insieme a una diagnosi precoce, è necessario promuovere una controcultura della differenza, capace di valorizzare le peculiarità corporee di ognuno per contrastare l’odierna omologazione estetica. È fondamentale che i genitori siano in grado di offrire modelli di riferimento alternativi a quelli imposti dalla pressione mediatica che identificano la bellezza con la magrezza delle donne e con la muscolosità degli uomini.

Per aiutare i genitori e i ragazzi ad affrontare l’anoressia o la bulimia è necessario spezzare il pregiudizio che circonda questi disturbi, liberando i genitori dal senso di colpa che troppo spesso li paralizza davanti alla malattia dei loro figli. Proprio per questo è sempre più importante far conoscere e parlare delle problematiche legate a queste malattie con i ragazzi e con le famiglie senza tabù e ipocrisia. Il Centro Studi Erickson affronterà i disturbi del comportamento alimentare nel convegno #Supereroifragili, in programma a Rimini il 5 e 6 maggio e nel master in Disturbi del comportamento alimentare in età evolutiva che partirà a Roma nell’ottobre 2017. (Agenzia Redattore Sociale)